martedì, novembre 13, 2007

Considerazioni

Dalla rete:
Anno 2007. 11 novembre. Un nuovo tassello applicato alla faustissima e universalmente riconosciuta era della comunicazione. Un episodio tragico, gravissimo nella sua dinamica e nella sua consequenziale forma di fatalità accade poco prima delle 9.30: nell’epoca della cosiddetta informazione in tempo reale la notizia trapela suppergiù ufficiosamente solo dopo le 11. Più di un media la annuncia in modo frettoloso, confuso, incompleto e inesatto, come solo un fatto appena accaduto si potrebbe (ma non si dovrebbe) rendere noto. Si parla nebulosamente di scontri fra tifoserie. l’unica certezza è che c’è un morto. Ci si deve avvicinare a mezzogiorno per cominciare a capire che di mezzo c’è un colpo di pistola esploso da un tutore delle forze dell’ordine. Nel frattempo la marea mediatica è già montata al punto giusto e sbagliato al tempo stesso, tale e quale a una maionese impazzita.Nell’era dell’aggiornamento-flash devono arrivare le 13 per accertare che - sì - è stato un agente della Polstrada a sparare, le 13.30 per apprendere che la pattuglia da dove sono partiti i colpi d’arma da fuoco si trovava sull’area di servizio opposta, addirittura qualche decina di minuti in più per intuire che il ragazzo non è morto lì, ma presso il casello di Arezzo, stesso luogo dove si trova la macchina immortalata nelle riprese, mentre fino a poco prima ci avevano detto che l’auto era nel parcheggio dell’autogrill.
Nel tempo della comunicazione globale, immediata e pseudo-trasparente, devono arrivare le 16 passate perché una fredda e tesa conferenza stampa affidi a un comunicato la versione-free-climbing della questura di Arezzo: colpi esplosi in aria, senza alcuna certezza che sia stato proprio uno di quelli (e quale altro?) a trapassare il lunotto laterale posteriore della Scenic e colpire a morte Gabriele Sandri. La marea intanto monta, monta senza posa, a Bergamo ma non solo va in scena la giustizia sommaria e arbitraria ultras, e forse un po’ di trasparenza, un atto di mea culpa, di dura autocritica, potrebbero attenuare appena la follìa, la rabbia, l’inaccettabile rappresaglia. Niente di tutto questo: una semplice, scontata velina nella quale si cerca di prender tempo, di negare, o almeno di mettere in dubbio l’evidenza di una colposa fatalità. Tutto questo sarà definito il giorno dopo da uno dei vertici del Sap (sindacato autonomo di polizia) un “errore di comunicazione”. Appunto.

Nel frattempo Lega Calcio, Figc e accoliti hanno preso la decisione di sospendere la sola Inter-Lazio (a Bergamo e Taranto ci hanno pensato gli Ultras (!)) e di ritardare di 10 minuti (bel segnale) le altre gare. L’intento è quello di evitare ripercussioni sui tifosi in trasferta già presenti nelle varie città, ma il messaggio viene letto come una sperequazione tra ciò che avvenne dopo la morte di Raciti e quel che segue la tragedia di Badia al Pino. Un altro errore di comunicazione? Forse, ma che dire di quello che gli Ultras romani (di ogni colore) perpetrano delinquenzialmente qualche ora più tardi, attaccando le caserme, la sede del Coni, devastando, danneggiando, incendiando, gettando nel terrore i cittadini della capitale. L’occasione (tragica ma reale) poteva servire a dimostrare che errori e nequizie si commettono da ogni lato, che la medaglia ha sempre due facce. No, meglio cogliere la palla al balzo, servire la vendetta prima che si raffreddi, passare completamente dalla parte del torto e darsi in pasto alle gogne mediatiche di sempre, quelle che già additavano i vandali e i furfanti quando il corpo di Gabriele era ancora caldo. Un rozzo sbaglio comunicativo, tanto maldestro da apparire sospetto, molto sospetto. Ma uno sbaglio oltreché un’infamia, comunque.

L’ennesimo di una giornata nerissima non solo per il calcio, per la vita che rifiuta la violenza e la morte, ma per l’idea stessa di informazione, di dialogo, di comunicazione e verità. Abbiamo fallito tutti, e io che odio sembrare corporativista scelgo di esserlo nel giorno degli sbagli, degli errori marchiani e inaccettabili. Forse l’età della comunicazione non è mai cominciata, o forse ne abbiamo ingurgitata talmente tanta da farcene soffocare. Ora ci torna su come un banchetto indigesto e rimaniamo lì, con la forchetta in mano, rendendoci conto, forse per la prima volta, di dover ricominciare tutto daccapo, mentre sulla tavola resta il Vaso di Pandora, come una buffa pentola scoperchiata, assieme alle briciole della nostra civiltà.

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