venerdì, marzo 31, 2006

Il nostro modo di vivere può davvero salvare il pianeta?

Da eddyburg.it


Autore:

Comportamenti quotidiani e problemi ambientali mondiali: pro e contro

da The Observer, 5 marzo 2006.

In superficie, la vita di Kendal Murray sembra decisamente sulla media. Ogni mattina si fa la doccia, prepara i toast e lascia i bambini al nido prima di andare al lavoro. Solo osservando più da vicino i particolari della sua routine quotidiana, emergono alcuni elementi interessanti: la doccia è riscaldata da pannelli solari sul tetto; l’elettricità per il tostapane viene da un generatore locale che brucia legna; e quando porta i bambini al nido ci va a piedi: naturalmente. La signora Murray abita a BedZED, che sta per Beddington Zero Energy Development, Sutton, sud di Londra, il primo insediamento di grosse dimensioni “senza produzione di anidride carbonica”, usando solo energie rinnovabili generate in loco, non aggiunge quantità significative di CO2 all’atmosfera. ”La gente ha un’idea da cilicio della vita ecologista, che invece può essere facile, economica e attraente” dice la Murray. “Vivo con la coscienza a posto e non ho dovuto rinunciare a nulla per farlo”. Benvenuti nel modo della vita etica che, se si continua la tendenza attuale, vedrà molti di noi unirsi allo stile di esistenza della Murray, non solo preoccupandoci di risparmiare energia e diminuire le emissioni di anidride carbonica – unendoci così al leader Tory David Cameron che ieri ha annunciato che installerà una turbina a vento sulla sua casa nell’ovest di Londra – ma accertandoci di indossare vestiti che non sfruttano i lavoratori nei paesi in via di sviluppo, andare a fare vacanze che non danneggiano preziosi habitat, far crescere i figli meticolosamente eco-friendly. Qualche giorno fa, Marks & Spencer è stata la prima catena commerciale a lanciare una propria linea di magliette e calzini equa e solidale. Poi il gigante dei supermercati Sainsbury's ha confermato di aver fatto la più grossa ordinazione di tutti i tempi in cotone del circuito equo. La scorsa settimana Top Shop ha annunciato che stava portando l’abbigliamento di questo circuito nei propri negozi. Contemporaneamente, il mercato del cibo biologico è lievitato sino ad oltre 1,1 miliardi di sterline, e di conseguenza gli alimenti prodotti nel circuito etico – biologico, equo e solidale, vegetariano, free range – ora contano per il 5% del conto alimentare britannico da 80 miliardi. Ora stanno entrando in scena i marchi di lusso. La scorsa settimana si è lanciata Product Red: un’idea di Bono per utilizzare occhiali da sole di marca, felpe e T-shirt comprate con le carte di credito American Express per raccogliere denaro da usare per la lotta all’Aids in Africa. Sostenuti da attrici e supermodelle come Elle MacPherson o Claudia Schiffer, i contributi Amex Red versano qualche centesimo per ogni unità spesa alla causa. La vita etica è in marcia, detto in altre parole. Statistiche pubblicate dalla Co-operative Bank mostrano che i britannici hanno speso 25,8 miliardi di sterline in prodotti etici lo scorso anno, il 15% in più del 2004. Oltre il 40% di questi sono andati agli investimenti nelle banche etiche, e anche il commercio di prodotti equi – che compensano i produttori oltre i normali livelli di mercato – si sta impennando drasticamente. Dieci anni fa, non c’erano prodotti etici. L’anno scorso di sono spesi in acquisti del settore quasi 200 milioni di sterline, e il mercato cresce del 40% l’anno, col caffè in cima alla lista dei prodotti preferiti. Cafedirect ora è la sesta marca per vendite a livello nazionale. In più, il governo sta prendendo in considerazione alcune azioni per rafforzare le Norme per le Abitazioni Sostenibili, in modo tale da farle diventare obbligatorio per tutte le nuove costruzioni, e raggiungere obiettivi ambiziosi di riduzione del consumo energetico. Si tratta di un’azione importante perché il 50% delle emissioni di carbonio del Regno Unito proviene dall’ambiente costruito, e si prevedono massicce quantità di nuova edificazione nell’Inghilterra meridionale. Sembra tutto molto incoraggiante. Ma tutti questi milioni sono spesi bene? Si aiuta davvero l’ambiente? Ed è possibile che siano i consumatori a controllare il destino del pianeta facendo la spesa, scavalcando così i migliori sforzi internazionali dei politici? Queste domande ci portano nel nocciolo centrale di una delle principali questioni del momento: sino a che punto il potere del consumatore può salvare il mondo? Non sorprende che le risposte rivelino una grande distanza tra favorevoli e contrari alla vita etica. Consideriamo il problema dell’eco-turismo. Ci sono ovvi elementi positivi nel passare vacanze che non portino a un diffuso degrado di preziosi habitat, come la cementificazione di isole coralline o gli enormi alberghi che sottraggono grandi quantitativi d’acqua solo per docce e piscine. Ma la questione non è così lineare. Per esempio, la maggior parte delle località di eco-turismo sta in Sud America, Asia e Africa. Arrivarci implica bruciare grandi quantità di carburante, aggiungendo ampie quote di anidride carbonica all’atmosfera. È un punto su cui ora concordano anche gli operatori del settore. Ieri i due principali guru dei giramondo – Mark Ellingham, fondatore delle Rough Guides, e Tony Wheeler, che ha creato Lonely Planet – hanno entrambi ammesso pubblicamente che le loro edizioni hanno contribuito a diffondere un atteggiamento propenso a volare, che sta stimolando l’ascesa dei livelli di anidride carbonica e contribuendo al riscaldamento globale. Suggeriscono, fate meno voli, e fermatevi più a lungo. Ma ancora, non è tanto semplice, come sottolinea Paolo Guglielmi, project manager del programma ambientale delle Nazioni Unite in Mediterraneo. “Se l’unico problema ambientale fosse il volare, saremmo sulla strada giusta; il problema è che non si tratta dell’unico problema”. Questo aspetto è stato dimostrato da un recente studio accademico, che suggerisce come gli impatti della pratica dell’ecoturismo siano spesso significativamente superiori a quanto avverrebbe semplicemente restandosene a casa. John Hunter e Jon Shaw, della Aberdeen University, hanno calcolato la “impronta ecologica” di 252 vacanze eco-turistiche in termini di quantità di ettari globali di pianete, necessari a fornire le risorse consumate. I risultati, in corso di pubblicazione sulla rivista Environmental Conservation, mostrano che in tutti i casi tranne uno l’effetto è stato quello di incrementare la pressione netta sulle risorse naturali. ”Esiste probabilmente una differenza, tra un approccio hard e uno soft al turismo” aggiunge Hunter. “[Si può] andare ad attraversare la Mongolia sedendo in groppa a un cammello e mangiando come gli abitanti del posto; se si va nelle Filippine o in Tahilandia, si visita una volta un eco-park e si passa il resto del tempo abitando in un albergo di lusso, l’impatto sarà enorme”. Un punto di vista condiviso da Guglielmi. “Il problema sta nel termine eco-tourism, interpretato in ciascun paese in modo diverso” dice. “Passiamo da posti dove lo si intende in termini di tende, ad altri, in particolare lungo le coste nel sud del Mediterraneo, dove la parola serve solo a pitturare di verde chilometri di alberghi a cinque stelle”. C’è poi la questione del cibo. Da un lato, il circuito del commercio equo e solidale da’ ai piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo un accesso ai mercati ricchi. D’altra parte, l’importazione di merci da migliaia di chilometri di distanza contribuisce sempre più ad un inquinamento che si calcola in quantità di cibo per distanza. In modo simile, tutte le azioni per mantenere i nostri figli “ eco-friendly” vengono criticate per la loro scarsa praticabilità. I pannolini usa e getta sono considerati un dono di dio dalla maggior parte dei genitori, e uno studio dell’Agenzia Ambiente del 2005 ha concluso che c’è poca differenza in termini di impatto ecologico, fra usa e getta e pannolini che si lavano. In ogni caso, l’analista commerciale Richard Hyman, consulente alla Verdict Research, afferma di non essere affatto convinto che i consumatori britannici siano pronti a sacrificare i prezzi più bassi in cambio della coscienza a posto. “Viviamo in un modo dove la maggior parte delle persone sono favorevoli a sostenere i negozi di quartiere ma non fa niente a questo proposito” dice. “La gente è contenta di parlare della consapevolezza etica, ma quando si arriva ai modi di consumo non c’è corrispondenza con queste parole”. La strada per arrivare a un vero stile di vita etico e sostenibile, in altre parole, sarà ardua. Comunque, ciò non significa che l’obiettivo non valga la pena, dicono gli attivisti. Indicano gli impatti spesso orribili che gli occidentali hanno avuto sul mondo in via di sviluppo, sia in termini di costi ambientali che di vite umane. La scorsa settimana, ci sono stati tre diversi incidenti nelle fabbriche di abbigliamento del Bangladesh con molte centinaia di morti, nella città portuale di Chittagong e in una fabbrica crollata nella capitale, Dacca. All’interno delle fabbriche, abiti destinati all’Europa e all’America. Nessuno di quegli incidenti è stato riportato sulla stampa britannica. E pure essi dimostrano il terribile prezzo che talvolta si paga per produrre cose che diamo per scontate. Avvenimenti del genere danno impeto al movimento etico, e probabilmente manterranno la pressione sulle attività economiche perché si assicurino che i propri prodotti e servizi vengano offerti in modo moralmente accettabile alla maggior parte delle persone. Può dimostrarsi arduo organizzare nei particolari un programma di vita etica, ma ci sarà sempre la voglia di realizzarlo. E alla fine, ci guadagneremo tutti, secondo Kendal Murray. “Non ho mai abitato in un ambiente tanto amichevole come questo” dice riferendosi al BedZED. “C’è un senso comunitario, qui, risultato diretto del fatto che siamo tutti legati dalla causa comune del vivere ecologico. Quando curo le verdure nell’orto o cammino fino ai contenitori del riciclaggio, mi incontro coi vicini e parliamo. In tutti gli altri posti dove ho abitato, la gante andava dalla porta alla macchina, e spariva in una nube di fumo da petrolio”.
Nota: in termini più pratici, e con riferimento alla pianificazione territoriale, si vedano le recentissime linee per l'inserimeno delle Energie Rinnovabili nei piani locali dello East England

8 Comments:

Blogger Marte said...

Gli ideali che ci animano vanno confermati dai fatti.
Vivere in modo "etico" e "sostenibile"
dovrebbere essere un dovere/piacere sentito da ognuno come imprescindibile.
Senza necessariamente dover stravolgere il proprio stile di vita dall'oggi al domani, basterebbe un pò riflettere sulle cose in cui diciamo di credere e cominciare a prendere scelte "eque e solidali" sia per noi stessi che per il nostro mondo/società
Il nostro modo di vivere è fondamentale ai fini della salvaguardia del pianeta.
Se ne parla molto anche in Ecocidio, di Jeremy Rifkin, ma purtroppo se ne parla sempre troppo poco e con un tono da rinuncia e penitenza.
Chissà poi perchè riappropriarsi di spazi, sapori, odori e salvaguardare al tempo stesso vita e vivibilità sembra quasi una sorta di penitenza?

2:02 AM  
Anonymous Anonimo said...

se bastasse valutare l'inutilità dell'iscrizione all'ordine dal sito mi sentirei già sollevata...purtroppo nessuna utilità è riscontrabile da nord a sud.

5:19 PM  
Blogger esetto said...

Grazie a Marte e Vadoalmare per i post appassionati, contento di aver sollevato lo scambio di idee.
Su Rifkin sono d'accordo con Vadoalmare eppure anche recentemente ho sentito lodarlo apertamente per le sue visioni all'idrogeno.
Turismo: basta ripensare agli splendidi (??) villaggi spazzati dall'onda lunga dello tsunami.

5:47 PM  
Anonymous Anonimo said...

già vicina ai cugini "etnici"...non posso che indicare la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale:

PREAMBOLO
La Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale è il documento che definisce i valori e i princìpi condivisi da tutte le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale italiane.
La Carta viene approvata nel 1999, ed è l’inizio di un percorso di confronto a livello nazionale tra le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale che negli anni si è andato sviluppando e approfondendo, fino a cogliere limiti e contraddizioni, frutti di un percorso molto partecipato, ma anche articolato, a volte contraddittorio. Da questo lungo confronto è emersa forte l’esigenza di una rivisitazione della Carta per adeguarla alla realtà di un Commercio Equo e Solidale che guarda al futuro, che costruisce nuove esperienze, per rispondere sia alle esigenze dei produttori ma anche a quelle dei consumatori consapevoli.
La nuova stesura della Carta, approvata nell’Assemblea dei Soci AGICES di Chioggia (aprile 2005), si colloca in stretta continuità con la precedente, riconosce il valore di un documento frutto di un lavoro ampio e partecipato. Essa ne preserva i princìpi, introducendo modifiche che non ne mutano lo spirito e i valori fondanti.
Il concetto di “filiera equa” è uno dei cardini che la Carta preserva e sui quali poggia.
La prima Carta Italiana dei Criteri lo declinava riconoscendo due tipologie di organizzazioni di Commercio Equo e Solidale: le Botteghe del Mondo e gli Importatori.
La volontà di fotografare la naturale dinamicità del movimento, evitando definizioni ambigue senza escludere a priori la possibilità che il Commercio Equo e Solidale possa trovare in futuro altre forme di espressione, ha portato alla decisione di fare un passo avanti. Protagoniste del movimento, secondo la nuova Carta Italiana dei Criteri, sono oggi le “organizzazioni di Commercio Equo e Solidale”.
Un'organizzazione di Commercio Equo e Solidale viene riconosciuta come tale in base al tipo di attività concreta che svolge, e non più per l’appartenenza nominale ad una tipologia di struttura.
Nessun criterio fondante per la tutela del valore della “filiera equa” è stato dunque rivisto e nessun principio condiviso dal movimento è stato privato del suo senso originario, tantomeno la centralità delle Botteghe del Mondo.
Il Commercio Equo e Solidale si è infatti sviluppato in modo orizzontale e capillare grazie alla rete delle Botteghe del Mondo. Il radicamento delle Botteghe del Mondo sul territorio, e le loro potenzialità di incidenza politica e culturale sono un patrimonio che il movimento, fin dal principio, valorizza come proprio e peculiare e si impegna ad accrescere.
La Bottega del Mondo, come spazio in cui esercitare il proprio diritto ad essere cittadini, come strumento di aggregazione, di incontro, scambio e coscientizzazione immerso nel tessuto urbano, come luogo fisico di contatto tra Nord e Sud del mondo, ha l'importanza e la responsabilità di essere uno spazio pubblico nel senso più ampio del termine. Nelle Botteghe del Mondo è possibile orientare azioni concrete e coraggiose per fini comuni, sviluppare linguaggi e pensieri nuovi, per comunicare e per dimostrare che i valori dominanti non sempre sono universalmente condivisi. Nella Bottega del Mondo, laboratorio di pace e di autosviluppo, di sobrietà dei consumi e di condivisione, si impara ad essere cittadini del mondo, democratici e solidali, e a contribuire al cambiamento concreto delle relazioni favorendo il lavoro “in rete”.
La presenza della Bottega del Mondo a livello locale assicura questa possibilità di partecipazione globale, svolgendo un ruolo insostituibile di trasmissione e di evoluzione dello spirito, dei princìpi e delle regole del Commercio Equo e Solidale che la Carta Italiana dei Criteri, negli articoli seguenti, definisce e custodisce.

art 1. Definizione del Commercio Equo e Solidale
Il Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.
Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione:
dai produttori ai consumatori.

art 2. Obiettivi del Commercio Equo e Solidale
1. Migliorare le condizioni di vita dei produttori aumentandone l’accesso al mercato, rafforzando le organizzazioni di produttori, pagando un prezzo migliore ed assicurando continuità nelle relazioni commerciali.
2. Promuovere opportunità di sviluppo per produttori svantaggiati, specialmente gruppi di donne e popolazioni indigene e proteggere i bambini dallo sfruttamento nel processo produttivo.
3. Divulgare informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, tramite la vendita di prodotti, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo.
4. Organizzare rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto della dignità umana, aumentando la consapevolezza dei consumatori sugli effetti negativi che il commercio internazionale ha sui produttori, in maniera tale che possano esercitare il proprio potere di acquisto in maniera positiva.
5. Proteggere i diritti umani promuovendo giustizia sociale, sostenibilità ambientale, sicurezza economica.
6. Favorire la creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati.
7. Favorire l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati.
8. Sostenere l'autosviluppo economico e sociale.
9. Stimolare le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale, effettuando campagne di informazione e pressione affinché cambino le regole e la pratica del commercio internazionale convenzionale.
10. Promuovere un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali.

art 3. Criteri generali adottati dalle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale
Le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale si impegnano a condividere ed attuare, nel proprio statuto o nella mission, nel materiale informativo prodotto e nelle azioni, la definizione e gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale. In particolare si impegnano a:
1. Garantire condizioni di lavoro che rispettino i diritti dei lavoratori sanciti dalle convenzioni OIL.
2. Non ricorrere al lavoro infantile e a non sfruttare il lavoro minorile, agendo nel rispetto della Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia.
3. Pagare un prezzo equo che garantisca a tutte le organizzazioni coinvolte nella catena di commercializzazione un giusto guadagno; il prezzo equo per il produttore è il prezzo concordato con il produttore stesso sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare per ogni singolo produttore.
4. Garantire ai lavoratori una giusta retribuzione per il lavoro svolto assicurando pari opportunità lavorative e salariali senza distinzioni di sesso, età, condizione sociale, religione, convinzioni politiche.
5. Rispettare l’ambiente e promuovere uno sviluppo sostenibile in tutte le fasi di produzione e commercializzazione, privilegiando e promuovendo produzioni biologiche, l'uso di materiali riciclabili, e processi produttivi e distributivi a basso impatto ambientale.
6. Adottare strutture organizzative democratiche e trasparenti in tutti gli aspetti dell’attività ed in cui sia garantita una partecipazione collettiva al processo decisionale.
7. Coinvolgere produttori di base, volontari e lavoratori nelle decisioni che li riguardano.
8. Reinvestire gli utili nell’attività produttiva e/o a beneficio sociale dei lavoratori (p.e. fondi sociali).
9. Garantire un flusso di informazioni multidirezionale che consenta di conoscere le modalità di lavoro, le strategie politiche e commerciali ed il contesto socio-economico di ogni organizzazione.
10. Promuovere azioni informative, educative e politiche sul Commercio Equo e Solidale, sui rapporti fra i Paesi svantaggiati da un punto di vista economico e i Paesi economicamente sviluppati e sulle tematiche collegate.
11. Garantire rapporti commerciali diretti e continuativi, evitando forme di intermediazione speculativa, escludendo costrizioni e/o imposizioni reciproche e consentendo una migliore conoscenza reciproca.
12. Privilegiare progetti che promuovono il miglioramento della condizione delle categorie più deboli.
13. Valorizzare e privilegiare i prodotti artigianali espressioni delle basi culturali, sociali e religiose locali perché portatori di informazioni e base per uno scambio culturale.
14. Cooperare, riconoscendosi reciprocamente, ad azioni comuni e a favorire momenti di scambio e di condivisione, privilegiando le finalità comuni rispetto agli interessi particolari. Per evitare azioni che indeboliscano il Commercio Equo e Solidale si impegnano, inoltre, in caso di controversie, a fare un percorso di confronto e di dialogo, eventualmente con l'aiuto di un facilitatore.
15. Garantire relazioni commerciali libere e trasparenti, promuovendo processi di sviluppo e coordinandosi nello spirito dell’art. 3.14.
16. Garantire trasparenza nella gestione economica con particolare attenzione alle retribuzioni.

art 4. Produttori ed Esportatori
4.1 Produttori
I Produttori sono organizzazioni di produzione e commercializzazione di artigianato ed alimentari che condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale e rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.
I Produttori devono:
1. Perseguire logiche di autosviluppo e di autonomia delle popolazioni locali.
2. Evitare una dipendenza economica verso l’esportazione, a scapito della produzione per il mercato locale
3. Evitare di esportare prodotti alimentari e materie prime scarseggianti o di manufatti con queste ottenuti
4. Favorire l’uso di materie prime locali
5. Garantire la qualità del prodotto
Qualora i produttori non siano in grado di esportare direttamente possono servirsi di organizzazioni di esportazione.

4.2 Esportatori
Gli Esportatori sono organizzazioni che acquistano principalmente dai produttori come specificati all'art.4.1, e vendono prevalentemente a organizzazioni di Commercio Equo e Solidale; essi condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale e rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.
Gli esportatori devono:
1. Assicurarsi che i princìpi del Commercio Equo e Solidale siano conosciuti dai produttori e lavorare con questi per applicarli
2. Fornire supporto alle organizzazioni di produzione: formazione, consulenza, ricerche di mercato, sviluppo dei prodotti, feedback sui prodotti e sul mercato
3. Dare ai produttori, se da questi richiesto, il pre-finanziamento della merce o altre forme di credito equo o microcredito
4. Fornire informazioni sui prodotti e sui produttori e sui prezzi pagati ai produttori
5. Garantire rapporti di continuità con i produttori

art 5. Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale
Le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale commercializzano prevalentemente prodotti del Commercio Equo e Solidale di organizzazioni di produzione e/o di esportazione e/o di altre organizzazioni di Commercio Equo e Solidale.
Il ricorso a fornitori esterni al circuito del Commercio Equo e Solidale deve essere funzionale agli scopi sociali, e agli obiettivi del Commercio Equo e Solidale stesso.
Le organizzazioni italiane condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale, rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.

Le Organizzazioni italiane devono:
1. Promuovere iniziative di economia solidale al meglio delle proprie possibilità.
2. Sostenere le campagne di sensibilizzazione e pressione, condotte a livello nazionale ed internazionale, volte a realizzare gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale
3. Essere senza fini di lucro.
4. Inserire, appena possibile, personale stipendiato all’interno della struttura, garantendo un'adeguata formazione.
5. Valorizzare e formare i volontari e garantire loro la partecipazione ai processi decisionali.
6. Rendere disponibile alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale, impegnandosi alla trasparenza, l'accesso alle informazioni riguardanti le proprie attività (commerciali e culturali)
7. Avviare e mantenere contatti diretti con esperienze marginali di autosviluppo, sia in loco che nei Paesi economicamente svantaggiati al fine di stabilire una sorta di gemellaggio equosolidale, con ogni mezzo idoneo a permettere la conoscenza di luoghi, persone, modalità di vita e di produzione che possano associarsi ai concetti con cui si definisce il Commercio Equo e Solidale.
Nell’attività di acquisto e di importazione le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale devono:
8. Offrire ai produttori, se da essi richiesto, il pre-finanziamento della merce, e favorire altre forme di credito equo o microcredito, qualora non esistano in loco possibilità di accesso a crediti
9. Promuovere, anche attraverso la collaborazione reciproca, rapporti di continuità, per mantenere un clima di autentico scambio, per favorire una maggiore stabilità per gli sbocchi di mercato dei produttori, e per permettere un effettivo miglioramento delle condizioni di vita sul breve/medio/lungo periodo.
10. Fornire supporto alle organizzazioni di produzione ed esportazione: formazione, consulenze, ricerche di mercato, sviluppo di prodotti, feedback sui prodotti e sul mercato
11. Assicurarsi che i principi del Commercio Equo e Solidale siano conosciuti e condivisi dai produttori e lavorare con questi per applicarli
12. Favorire, laddove sussistano le condizioni, la lavorazione dei prodotti presso le organizzazioni di produttori e/o privilegiare l’acquisto o l’importazione di prodotti la cui lavorazione avviene anche parzialmente nei paesi di origine dei produttori
13. Dare possibilità alle altre organizzazioni di Commercio Equo e Solidale di fare viaggi di conoscenza presso i produttori (e viceversa), rispettando i criteri del Turismo responsabile espressi nel documento "Turismo responsabile: Carta d'identità per viaggi sostenibili"
14. Privilegiare i fornitori esterni al circuito del Commercio Equo e Solidale fra quelli organizzati in strutture no-profit, con finalità sociali e con gestione trasparente e democratica e che abbiano prodotti eco-compatibili e culturali. Non intraprendere relazioni commerciali con aziende che, con certezza, violino i diritti umani e dei lavoratori
Nell’attività di vendita le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale devono:
15. Fornire ai consumatori tutto il materiale informativo disponibile, comprese le schede del prezzo trasparente
16. Mantenersi costantemente informate sui prodotti che vengono venduti, verificando che vengano rispettati i criteri del Commercio Equo e Solidale
17. Garantire ai consumatori sia in caso di distribuzione diretta che di distribuzione attraverso soggetti esterni, informazioni relative al Commercio Equo e Solidale, ai gruppi produttori che hanno realizzato il prodotto o fornito le materie prime, alla rete delle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale ed uno schema di prezzo trasparente, che fornisca almeno le seguenti informazioni: prezzo FOB pagato al fornitore, costo di gestione, importazione e trasporto, margine per la vendita. Tali informazioni possono essere indicate in percentuale od in valore assoluto, per singolo prodotto o per categoria di prodotti, o per paese di provenienza, o per gruppo di produttori.
In caso di vendita all’ingrosso:
18. Vendere prevalentemente alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale, ai canali di economia solidale, e/o di solidarietà sociale, gruppi di autoconsumo e/o gruppi informali di solidarietà
19. Fornire alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale informazioni sui prodotti e sui produttori attraverso schede informative che contengano il prezzo trasparente dei prodotti ed essere disponibili a fornire la documentazione di supporto

art 6. Prodotti trasformati
I prodotti trasformati sono tutti quei prodotti non riconducibili ad un’unica materia prima: biscotti, cioccolata, dolciumi, ecc.
1. I prodotto trasformati possono essere definiti in etichetta “prodotti di Commercio Equo e Solidale” solo se almeno il 50% del costo franco trasformatore delle materie prime o il 50% del peso delle materie prime è di Commercio Equo e Solidale
2. L'elaborazione dei prodotti trasformati, laddove ne esistano le condizioni, dovrebbe avvenire nei Paesi d'origine.
3. La trasformazione deve essere effettuata da soggetti dell'economia solidale o comunque da cooperative o imprese che non siano in contrasto con i principi del Commercio Equo e Solidale.
4. I prodotti trasformati devono riportare in etichetta la dicitura:
"Totale ingredienti del Commercio Equo e Solidale: %"
5. Nei prodotti trasformati, la scelta degli altri ingredienti rispetto a quelli del Commercio Equo e Solidale deve ispirarsi ai criteri esposti all'art.3.5 di questa Carta.

7:20 PM  
Blogger Marte said...

Una cosa che non trovo utile è demonizzare un autore piuttosto che trarne spunto.
Io penso che ognuno nel suo piccolo possa agire e interagire con la natura, senza necessariamente sopraffarla.
E siccome siamo individui, abbiamo bisogno di discernere e valutare soluzioni personali senza subierla come rinuncia ma bensi viverle come ricchezza, in un'ottica etica e sostenibile.
Quanto siano criticabili o buffone le teorie all'idrogeno di Rifkin non potrei dirlo, io di testo ne ho citato un altro.
Ma se anche avesse detto la più grossa cazzata della sua vita questo non ci autorizza a far finta di niente circa lo stato di salute del nostro ecosistema.
Poi, ripeto, siamo individui non stampini in serie.
C'è chi decide di diventare vegetariano, c'è chi non riesce nemmeno a concepire l'idea di cuocere le verdure.
Di certo, resta una sola grande intuizione: L'uomo è ciò che mangia.

10:43 PM  
Blogger esetto said...

Marte, non si demonizza nessuno naturalmente, se ne discute: poi ognuno di noi può vederla come vuole. Vadoalmare sa che non condivido sempre il suo approccio "polemicista".
Che poi i nostri comportamenti non siano "sostenibili" (la smetteremo di usare questo termine?) è assodato e il problema secondo me è tutto qui, cambieremo mai?
Mi piace comunque che quest post abbia attirato l'attenzione, posso chiederti come lo hai trovato?
Un grazie a tutti ai partecipanti alle discussioni.

12:39 AM  
Blogger Marte said...

x esetto: ho trovato il tuo blog tramite guerrillaradio, che frequento spesso e volentieri.
x vadoalmare: ho letto tutto quello che hai scritto, con attenzione.
Ci ho trovato un attaccamento ad un concetto di evoluzione che si trincera dietro il baluardo della reciprocità tra uomo e ambiente, ma che in realtà non propone altro che un progresso fine a se stesso.
Sinceramente non sento nostalgie per presunte epoche d'oro, penso che il nostro sapere è un'arma di potere che sbaglia troppo spesso mira.
Questo si.
Tu ad esempio vedi nell' agricolutara biologica un passo indietro, io invece ci vedo una forma di rispetto.
Solo perchè l'uomo si ingegna sul come avere i pomodori a dicembre questo non vuol dire che l'ambiente non bramava altro.
Stiamo inquinando, depredando, sciupando e denigrando l'ambiente e le sue risorse.
E questo non può essere giustificato dalla semplice dichiarazione di interdipendenza tra uomo e ambiente.
Io ci vedo solo un rapporto di parassitaggio.

9:22 PM  
Blogger Marte said...

Arrivo con ritardo, e me ne scuso.
Concludo velocemente, certa che i fatti e l'azione debbano essere rapidi oltre che consapevoli.
Il tumore, il cancro, altro non è che una disfunzione di un organismo che ha perduto un equilibrio.
Ripristinare l'equilibrio perso implica un cambio di marcia.
Un passo indietro?
Direi che non ci sono mai passi indietro quando si tratta della vita da vivere meglio.
Tu non vedi nell'agricoltura biologica una risposta concreta, io invece ci vedo un ventaglio di possibilità notevoli.
Le colture bio non hanno nulla del fascino bucolico delle campagne dei nostri nonni, hanno una consapevolezza diversa e più "sentita" delle colture e del territorio.
Un modo di "produrre" che tiene conto di un equilibrio tra necessità diverse.
Quelle delle nostre pance e quelle della nostra terra.
La scelta bio è una conseguenza dei nostri tempi poco equilibrati, credo che le nostre coscienze "illuminate" potrebbero ben permettersi il lusso di abbandonare la miopia della comodità a favore di un futuro più sano e di un mondo più longevo.
Per morire del resto c'è tempo, si sa.
E poi ci tocca, del resto si sa che si muore perchè si è nati.
Ma meglio morire di vecchiaia che di "disfunsioni".
No?

Un caro saluto all'interlocutore e uno al proprietario del blog.

10:31 PM  

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